sabato 17 marzo 2012

Bambini senza sbarre

Quasi 100.000 bambini in Italia hanno un genitore in carcere. Tra colloqui penitenziari e pregiudizi, una associazione li aiuta a vivere questa condizione. Abbiamo intervistato Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre

Hanno tra gli 1 e i 14 anni, sono perlopiù italiani, vivono pieni di vergogna e con un genitore solo: l'altro lo incontrano dopo un'ispezione, davanti ai piantonamenti e mai per più di un'ora, mentre un rumore incessante di sottofondo gli ricorda in continuazione dove si trovano. Sono i bambini che entrano in carcere per visitare un genitore detenuto. Centomila all'anno, solo in Italia. Un'esperienza traumatica, che si ripete 6, 8 volte al mese, anche per molti anni. A Milano c'è un'associazione che li aiuta. È Bambinisenzasbarre, nata nel 2002 e oggi faro a livello europeo per questo tipo di assistenza, con pubblicazioni adottate anche nelle università. Obiettivo dell'associazione è non solo quello di stare accanto ai piccoli, ma anche a entrambi gli adulti, quello dentro e quello fuori, per tutelare un rapporto genitoriale messo a durissima prova. Babinisenzasbarre ha portato uno “Spazio giallo” a San Vittore e Bollate, ora previsto anche a Opera, in cui delle persone specializzate fanno giocare i bambini e percepiscono eventuali tensioni prima di ogni colloquio. D.it ha intervistato in esclusiva la presidente di Bambinisenzasbarre, Lia Sacerdote.

Come reagiscono i bambini nell'attesa di un colloquio col genitore detenuto?
Operiamo in tre carceri milanesi che sono diverse fra loro, perciò diverse sono anche le reazioni dei bambini. A San Vittore si trovano persone in attesa di giudizio, a Bollate i condannati e infine c'è il carcere di Opera, un carcere di massima sicurezza, per esempio per reati mafiosi. Queste differenze influiscono sui bambini che aspettano. Di solito l'arresto è improvviso ed è un momento di massima tensione, i bambini che arrivano a San Vittore sono più nervosi perché non capiscono cosa sia successo. Le altre due carceri rappresentano la fase successiva, in cui i bambini hanno più chiaro cosa accade. Vivono sempre un'esperienza molto forte, però con delle differenze legate per l'appunto alla fase che stanno attraversando.

Se il bambino chiede che reato ha commesso il genitore, come affrontate l'argomento?
È molto difficile che il bambino ponga queste domande. La nostra attività fondamentale, se così si può dire, è l'ascolto del bambino, che molto presto capisce che qualcosa di grave è successo in famiglia. C'è un tabù a riguardo. Il bambino ha paura a parlarne, sente che è qualcosa di sbagliato.

Aiutate il bambino a rompere il tabù o lo rispettate?
Noi rispettiamo il tabù del bambino, ma aiutiamo gli adulti a romperlo. Il bambino non deve perdere la fiducia nei legami familiari e affettivi. Aiutiamo i genitori a capire che è importante che il bambino sappia. C'è una falsa credenza secondo la quale il bambino dovrebbe evitare il contatto con il carcere. Invece no: non sapere la verità crea un fantasma negativo che permane, ed è da questo che nasce il problema.

I genitori sono concilianti verso di voi, rispettano il vostro ruolo?
Superando una possibile diffidenza capiscono che diamo aiuto. Il nostro intervento comunque avviene sempre su richiesta del genitore.

Voi siete presenti al colloquio con il genitore in carcere?
Siamo presenti con due operatrici a San Vittore la domenica mattina, quando le madri possono parlare con i bambini per due ore. Un colloquio così lungo può essere faticoso per i bambini.

Certi reati, come quelli di mafia, derivano da una cultura che può investire anche il bambino. I figli di persone arrestate per reati mafiosi reagiscono diversamente rispetto agli altri bambini?
Negli altri tipi di reato si vede sempre che il genitore detenuto elabora la propria esperienza in carcere fino a capire quanto sia importante che il bambino conosca la verità anche per fare scelte diverse. Nei casi di reati di mafia spesso c'è una visione diversa: il padre viene visto come vittima del sistema giudiziario. Il bambino vive immerso in una cultura dove la legalità non è un valore.

Voi però non potete intervenire da questo punto di vista, giusto? Siete lì per ascoltare e aiutare, non correggere una cultura di fondo.
Si tratta di un processo lento e ampio: oltre a noi c'è anche l'istituzione carcere che può svolgere un ruolo importante se si pone in modo diverso.

E il carcere è attento ai bambini in visita?
Devo dire che nei 10 anni di attività abbiamo visto una trasformazione anche culturale. Il carcere si è reso conto sempre di più che deve fare i conti con i bambini. Noi vediamo 100-150 bambini a settimana. Il carcere deve attrezzarsi con gli spazi e gli operatori in grado di accoglierli. La Lombardia è una regione pilota in tal senso. Il provveditore della Lombardia ha organizzato un corso di formazione dedicato in particolare agli agenti della polizia penitenziaria in tutte le carceri della regione. A proposito, nel 2011 si è conclusa una ricerca europea sull'impatto della detenzione dei genitori sui figli. Noi abbiamo collaborato alla ricerca per l'Italia. Il dato più sconcertante che ne è scaturito è che tutti gli operatori hanno dichiarato di non essere preparati.

Effettivamente non si sa molto di questi temi, neanche fuori dal carcere.
Il carcere è considerato un fenomeno separato e invece coinvolge una grande parte della società civile. Basti pensare che solo a Milano sono 5000 i bambini che ogni anno entrano in prigione per visitare un genitore. Il carcere non è così distante come si pensa. Basti pensare ai tanti insegnanti che in classe hanno un figlio di detenuto e non sanno come comportarsi. Posso ricordare una cosa importante per la nostra associazione? Siamo stati scelti dal Teatro della Scala di Milano per una prova aperta. Il 21 aprile alle 10:30 Stefano Bollani, suonerà un programma dedicato a George Gershwin, sotto la direzione di Riccardo Chailly. Il ricavato sarà devoluto all'associazione. Chi vuole può andare alla Scala a un prezzo assolutamente speciale, dai 15 ai 30 euro, e aiutarci a portare avanti il nostro lavoro. E magari conoscerci più da vicino.

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